PAKISTAN, MANETTE PER IL PRIMO MINISTRO

PAKISTAN, MANETTE PER IL PRIMO MINISTRO

Mentre a Islamabad una folla di centinaia di migliaia di persone, convocata da un religioso giustizialista ha marciato su Islamabad chiedendo le dimissioni del governo, la Corte suprema ha ordinato l’arresto del premier Raja Pervez Ashraf che solo sette mesi fa aveva sostituito al governo il suo predecessore Yousuf Gilani, silurato da un altro affaire giudiziario

Nell’immagine , la sede della Suprema Corte

Emanuele Giordana

Mercoledi’ 16 Gennaio 2013

Che giustizia, furia popolare e poteri forti vadano spesso a braccetto non è una novità. Specie in un Paese come il Pakistan dove il braccio giudiziario, al netto di diversi scontri con l’esecutivo, viene spesso usato come grimaldello per amministrare la giustizia secondo le convenienze. Così, mentre a Islamabad una folla di centinaia di migliaia di persone, convocata da un religioso giustizialista ha marciato su Islamabad chiedendo le dimissioni del governo, la Corte suprema ha ordinato l’arresto del premier Raja Pervez Ashraf che solo sette mesi fa, il 22 giugno, aveva sostituito al governo il suo predecessore Yousuf Gilani, silurato da un altro affaire giudiziario.

La situazione è confusa sotto il cielo di un Paese che, nell’arco di una settimana, ha già collezionato oltre 120 vittime per attentati jihadisti e un numero imprecisato di morti dovuti ai droni americani e nel quale la “long march” del mullah Tahir-ul-Qadri ha aggiunto nuova benzina sul fuoco della polemica con un governo debole e il cui presidente, Asif Zardari marito di Benazir Bhutto, è da sempre in odore di corruzione tanto che ieri l’opposizione ne ha chiesto la testa. La sua testa di Raja Pervez Ashraf e dell’intero governo la sta chiedendo anche il mullah che da due giorni arringa una marea umana davanti al parlamento e a cui la richiesta di arresto per il premier è apparsa come il cacio sui maccheroni (o il dal sul riso).

La cronaca racconta che la Corte suprema del Pakistan ha ordinato ieri l’arresto d Raja Pervez Ashraf con l’accusa di corruzione (sedici in tutto le persone per cui dovrebbero scattare le manette) per uno scandalo che prende il nome di “Rental Power Case” e riguarda l’utilizzo di servizi di una società per il funzionamento di una centrale generatrice di energia. Per quell’operazione sarebbero state pagate tangenti, intascate anche da Ashraf, al tempo ministro dell’Acqua e dell’Energia.
L’altro dato di cronaca racconta invece della manifestazione convocata nella capitale da Tahir-ul-Qadri, a capo dell’associazione religiosa Tehreek-e-Minhaj ul Quran(Tmq) che ha dato il via alla sua “lunga marcia” nonostante i partiti che inizialmente lo avevano sostenuto avessero ritirato le adesioni e il governo avesse fatto di tutto per impedirgliela, avanzando timori per la sua stessa sicurezza, minacciata dai talebani. Il religioso, che vive in Canada ma che ha fatto ritorno nel Paese dei puri, ha alle spalle una fondazione con un grosso conto in banca, almeno a giudicare da come ha gestito la ricca campagna per la sua “long march”. C’è stato qualche incidente minore con la polizia ma alla fine le cose sono andate lisce e Qadri ha potuto tirare i suoi strali al governo, che vorrebbe si dimettesse passando i poteri a un esecutivo di transizione che garantisca nuove elezioni, davanti a una folla oceanica.

Il terzo elemento Iftikhar Muhammad Chaudhry, il capo della Corte suprema non nuovo a scontri con l’esecutivo. Licenziato dall’ex presidente Musharraf nel 2007 perché aveva tentato di sbarrargli la strada alla rielezione, il suo reinsediamento si deve in gran parte al consenso del vecchio magistrato da parte dell’opinione pubblica così che venne rimesso al suo posto, obtorto collo, da Zardari, di cui Chaudhry è sempre stato un acerrimo nemico: il presidente è un uomo su cui gravano molte ombre in fatto di tangenti all’epoca in cui sua moglie era premier. Non riuscendo a incastrare il capo dello Stato, Chaudhry ha colpito ai fianchi: prima Gilani, accusato di oltraggio alla corte per non aver richiesto alle autorità elvetiche, nel 2003, di indagare su controversi movimenti bancari in Svizzera riconducibili a tangenti pagate alla Bhutto e allo stesso Zardari, adesso Ashraf, per una vicenda riconducibile al suo mandato da ministro tra il 2008 e il 2011 quando proprio la Corte suprema lo sollevò dall’incarico per l’affaire Rental Power.

A questo punto manca un ultimo elemento: esattamente un anno si diffusero in Pakistan timori di un possibile golpe militare: c’era l’ennesima questione giudiziaria, le tensioni con gli americani per la sovranità nazionale ripetutamente violata dai droni, la guerra continua con talebani e jihadisti, un governo debole e poco amato in una situazione economica in caduta libera. Ma i signori in divisa kaki, tradizionali tutori dell’ordine, sono rimasti fermi. Quanto adesso sono estranei a quel che sta accadendo nel Paese dei puri?

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *