Qadri, l’uomo della rivoluzione o l’amico dei militari pakistani?
18 Gennaio 2013
Tahir-ul Qadri e i suoi sostenitori, fautori di una riforma del sistema politico pakistano, gridano alla vittoria. Per quattro giorni hanno assediato il Parlamento di cui chiedevano lo scioglimento, sono stati invitati alle trattative dall’esecutivo e hanno strappato quella che pomposamente è stata definita la Dichiarazione di Islamabad.
Il religioso sufi, trapiantato in Canada e tornato nella Terra dei Puri un mese fa per mettersi alla guida di un movimento di protesta cui hanno aderito migliaia di cittadini, ha ottenuto dal governo alcuni punti “vincolanti”.
Il Parlamento sarà sciolto entro il 16 marzo e le lezioni convocate entro 90 giorni. Saranno inoltre indicate due persone “oneste e imparziali”, approvate dallo stesso Qadri, per traghettare il Paese verso il voto. La Commissione elettorale dovrà valutare tutti i candidati secondo quanto stabilito dalla Costituzione e dovrà attenersi a essa e a quanto stabilito dalla Corte suprema sui preparativi e lo svolgimento di elezioni libere e democratiche. Tutto in linea con le dichiarazioni fatte già in passato dal presidente Asif Ali Zardari e dal suo partito. Molto rumore per nulla, sembra quasi sostenere la stampa pakistana.
Nei giorni scorsi la lunga marcia del religioso aveva fatto gridare al golpe, sebbene morbido. A Qadri è rimproverata la vicinanza alle potenti forze armate che in passato non hanno disdegnato l’impegno diretto alla guida del Paese. La stampa lo indica come sostenitore del colpo di Stato che nel 1999 portò al potere il generale Pervez Musharraf, lo stesso che nei giorni scorsi non ha fatto mancare il proprio apprezzamento per la protesta di Qadri.
In contemporanea alle manifestazioni la Corte suprema chiedeva l’arresto del primo ministro Raja Pervez Ashraf accusato di aver intascato tangenti all’epoca in cui guidava il ministero delle Risorse idriche e dell’Energia.
Nei mesi scorsi sotto la scure dell’alta corte era finito il suo predecessore Yousaf Raza Gilani. Uno scontro politico giudiziario che potrebbe affondare le radici nel tentativo del capo della Corte suprema, Iftikhar Muhammad Chaudhry, di colpire il presidente Zardari, soprannominato “signor 10 per cento” per la percentuale che si dice intascasse già prima di diventare presidente sfruttando le connessioni e il potere derivanti dall’essere il marito della defunta premier Benazir Bhutto.
Infine si torna a Qadri e alla sua mobilitazione molto ben organizzata e finanziata, che per qualche giorno ha fatto temere che il primo governo pakistano vicino ad arrivare alla scadenza naturale del proprio mandato potesse in realtà fallire il traguardo quando mancano appena due mesi. Marzo appunto, come dice la Dichiarazione di Islambad.
La scelta politica del religioso, oggi si vocifera di una sua possibile candidatura, potrebbe avere ripercussioni in Canada che vuole spiegazioni perché il religioso avrebbe violato il giuramento prestato quando chiese asilo politico e che non gli permetteva di tornare nel Paese da cui era fuggito.